domenica 17 marzo 2013

I LIMITI DEL PIANETA TERRA




  di Orazio  Mainieri*

   Nel momento che si vuole fare un ragionamento sulle risorse del pianeta terra mi si consenta qualche cenno ad un argomento con cui, di solito,  avvio sempre la prima lezione dei miei corsi. Un accenno al Club di Roma.  Il Club di Roma fu fondato nell'aprile del 1968 dall'italiano Aurelio  Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel, leader politici e intellettuali . Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei alla Farnesina. Nel 1972 uno studio del MIT(Massachusetts Institute of Technology) commissionato dal Club di Roma accese l'attenzione sulla scarsità del petrolio e sul limite dello sviluppo. Il rapporto "Limits to Growth"   dimostrava scientificamente al mondo l'esistenza del limite dovuto alla presenza di riserve petrolifere in quantità fissa e non incrementabile. Questo Rapporto sui limiti dello sviluppo, pubblicato nel 1972,  prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente del petrolio. La crisi petrolifera del 1973  attirò ulteriormente l'attenzione dell'opinione pubblica su questo problema. In realtà le previsioni del rapporto riguardo al progressivo esaurimento delle risorse del pianeta erano tutte relative a momenti successivi all'anno 2000, ma il superamento della crisi petrolifera degli anni '70 contribuì alla nascita di una leggenda metropolitana, secondo cui le previsioni del Club di Roma non si sarebbero avverate.Nella pratica, l'andamento dei principali indicatori ha sinora seguito piuttosto bene quanto previsto nel Rapporto sui limiti dello sviluppo, e l'umanità è destinata a confrontarsi nei prossimi decenni con le conseguenze del superamento dei limiti fisici del pianeta. Un esempio di ciò è dato dal picco
 
di Hubbert. La teoria del picco di Hubbert (detta anche più brevemente picco di Hubbert) è una teoria scientifica proposta, nella sua formulazione iniziale nel 1956 dal geofisico americano Marion King Hubbert, riguardante l'evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi  risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata. In particolare, l'applicazione della teoria ai tassi di produzione petrolifera risulta oggi densa di importanti conseguenze dal punto di vista geopolitico, economico e ingegneristico. La teoria permette di prevedere, a partire dai dati relativi alla "storia" estrattiva di un giacimento minerario, la data di produzione massima della risorsa estratta nel giacimento, così come  per un insieme di giacimenti o una intera regione. Il punto di produzione massima, oltre il quale, la produzione può soltanto diminuire, viene detto picco di Hubbert. Adesso è chiaro che studi di questo tipo(“Limits to Growth), possono anche presentare delle lacune o qualche imprecisione, ma, nella sostanza, evidenziano una realtà che tutti gli ecologisti seri devono tenere in grande considerazione, pur cercando di non ostacolare, ma anzi di accompagnare uno sviluppo, possibilmente, sostenibile. Non è pensabile che si  riesca a mantenere una crescita infinita, ma raggiunto un certo livello occorre cercare una qualche forma di stabilizzazione che non porti, come vorrebbero altri studiosi, a decrescite industriali rapide. Il discorso della decrescita è, al momento, pura dissertazione filosofica, perché i Paesi, soprattutto quelli emergenti non sarebbero assolutamente d’accordo. A questo punto i movimenti ecologistipossono solo accompagnare lo sviluppo cercando di limitare i danni all’ambiente.  E’ certo comunque che se non si prendono provvedimenti opportuni, come il ritorno veloce all’uso dell’energia nucleare con impianti di terza, quarta e anche quinta generazione, se verrà,  è sicuro che alla decrescita ci si arriverà per forza di cose, anche senza programmarla ed in modo violento.A partire dal 2030(forse anche prima) molte risorse naturali del pianeta cominceranno ad esaurirsi ed in pochi decenni tutti i popoli  saranno costretti ad adattarsi alla nuova realtà e finiremo per avere anche situazioni socialmente  drammatiche nelle Nazioni che adesso sono considerate  POTENZE INDUSTRIALI.  In questi Paesi  si avvierà inesorabilmente una spontanea  riduzione delle aree e delle possibilità di sviluppo industriale. Forse solo il riciclo delle materie  potrà attenuare questa terribile tendenza.

I  COMBUSTIBILI  FOSSILI.
 Lasciamo da parte tutti i minerali del mondo ed occupiamoci solo delle risorse con le quali si arriva alla fine ad avere energia e cioè dei combustibili fossili. Milioni di anni fa, resti di organismi (vertebrati, invertebrati, marini e di terraferma) rimasti sepolti sul fondo dei mari, di lagune e di laghi, andarono incontro a trasformazioni chimico-fisiche anaerobiche (in assenza di ossigeno) che permisero la conservazione dell'energia raccolta nelle proprie cellule durante la loro vita. 
Nel tempo questi fenomeni diedero origine ai giacimenti di petrolio e gas naturali che oggi sfruttiamo per bruciare in pochi istanti quella stessa energia (di origine solare) immagazzinata dalla Terra nel corso dei tempi geologici. Analogamente, la trasformazione delle spoglie di piante vissute in ere remote ha dato luogo a giacimenti di carbone, veri e propri magazzini di energia chimica. E' questa la ragione per cui tali combustibili si dicono "fossili".  Il lungo periodo di tempo ha nascosto nella crosta terrestre una preziosa risorsa. Preziosa perché è energia molto concentrata e facilmente disponibile che non farebbe danno se consumata poco per volta.  Per contro oggi, la massiccia combustione di queste risorse non rinnovabili sta causando  gravissimi problemi di inquinamento dell'atmosfera terrestre  e sta portando gli stessi all’esaurimento. Centinaia di milioni di anni per produrli, poche centinaia di anni per consumarli. Perciò lo studio che è venuto fuori grazie all’iniziativa del Club di Roma ha evidenziato, sostanzialmente, che fino al duemila avremmo avuto un periodo di vacche grasse, ma che dopo il duemila andando verso il 2050, decennio dopo decennio le vacche sarebbero state magre, cioè ci saremmo trovati oltre il picco di Hubbert.
 Qualche accenno alle riserve residue presunte. Cominciamo dal petrolio.   Oltrepassare il picco diHubbert della produzione petrolifera significa che tutte le nazioni della Terra messe insieme non potranno mai più estrarre dal terreno tanto petrolio quanto ne estraevano al momento del picco, quale che sia la domanda. Gli ultimi studi pongono al 2010 il picco del petrolio convenzionale. Ciò ha implicazioni straordinarie per la civiltà industriale fondata sul petrolio, basata sull'espansione costante e regolare di tutto: popolazione, prodotto interno lordo, vendite, profitti, turismo. Il superamento del picco della produzione petrolifera rappresenta, quindi,  una crisi economica senza precedenti che sconvolgerà le economie nazionali. Una volta superato quel punto l'offerta di petrolio diminuirà inesorabilmente, mentre il prezzo andrà…alle stelle. Come ho già detto la decrescita sarà rapida e nei fatti, senza alcun tipo di programmazione. Diamo qualche numero.
 L’OPEC, il cartello dei paesi produttori  aveva deciso di assegnare le quote di produzione ai vari Paesi in proporzione alle riserve esistenti. Più erano grandi più si poteva produrre e vendere. Gli   Stati petroliferi ben presto hanno cominciato a dichiarare riserve gonfiate, così le riserve sono aumentate a dismisura ed in maniera poco credibile. Questo magico petrolio poi non si esaurisce mai. Anche se la produzione ha da tempo superato le nuove scoperte, per esempio,  il Kuwait afferma di avere le stesse riserve che aveva nel 1985, avendone scoperte altre! Per avere una risposta credibile ci rivolgiamo allora alla US Geological Survey,  secondo i loro dati nel 1981 avevamo 1.719 miliardi di barili di petrolio, nel 2.000 ne avevamo 2.659. Però le scoperte di nuovi giacimenti hanno raggiunto il loro massimo nel 1964. Da dove sono usciti fuori le maggiori riserve? Atteniamoci ai dati Enea  del 2005 indicativamente, e cioè un consumo annuo di 84 Mb/g, riserve di 1300 miliardi di barili e riserve per 42,5 anni. Insomma si hanno riserve di petrolio per 40 anni e forse anche meno, dipende da come evolveranno i consumi in futuro.                                          Vediamo la situazione del gas combustibile. Attualmente questo pregiatissimo combustibile è molto usato in Italia soprattutto per la produzione di energia elettrica(45,27%) e rappresenta il tallone di Achille del nostro sistema energetico, sia perché lega il sistema elettrico a delle semplici tubazioni che possono facilmente essere interrotte, mandando in black-out il sistema stesso, e sia perché il suo prezzo è collegato a quello del petrolio dissanguando così le nostre modeste casse.   Certo, l’ammontare delle riserve mondiali di gas non sembra evidenziare imminenti problemi di scarsità o di declino della produzione   Tuttavia, analogamente al caso del petrolio, la ripartizione delle riserve sembra favorire, in prospettiva, una concentrazione della produzione nei paesi  del Medio Oriente e in quelli dell’ex-Unione Sovietica. Sempre attingendo indicativamente a dati Enea, come sopra, abbiamo riserve per 178.000 miliardi di metri cubi. Con un consumo annuo mondiale di 2.670 miliardi di metri cubi si hanno riserve per altri 67 anni circa.                                                               Ci resta di parlare del carbone.  A differenza degli altri due il carbone è fortunatamente meglio diffuso sul pianeta ed in quantità maggiore. Questo per i Paesi industriali è un grosso punto di vantaggio. D’altro canto scarica, a parità di potenza, il 25% in più di anidride carbonica rispetto al petrolio ed il 45% in più rispetto al gas naturale. L’utilizzo prevalente del carbone è legato alla generazione d’energia elettrica; in alcuni paesi è diffuso l’uso del carbone nel settore industriale (soprattutto siderurgico), mentre in Cina è forte anche la domanda proveniente dal settore residenziale per il riscaldamento degli ambienti. La necessità di una maggiore diversificazione delle fonti d’approvvigionamento, la ricerca di fonti energetiche meno costose   in una fase di prezzi energetici crescenti hanno favorito il ricorso al carbone anche in  Paesi piuttosto attenti ai problemi ambientali.                                                                                                                                Contrariamente alle attese, queste ragioni e lo sviluppo di tecnologie pulite per l’utilizzo del carbone nella generazione elettrica,  non sono stati sufficienti a far sì che i consumi di carbone aumentassero in Europa, dove subiscono una leggera contrazione da un paio di anni.              Comunque sempre guardando gli stessi dati Enea abbiamo quantità accertate per 788.000 milioni di tonnellate. Con un consumo annuo di 4.800 milioni di tonnellate all’anno si arriva ad avere riserve per altri 164 anni.   In conclusione, per petrolio, gas naturale e  carbone ne abbiamo, se realtà e previsioni coincidono, per 42, 67 e 164 anni, ma potrebbero anche diventare 33, 53  e  151. Dopodiché ripiombiamo nel solo rinnovabile e buona notte.
LE  RISORSE  URANIFERE.

 Tutto quanto abbiamo espresso finora evidenzia la pericolosità della situazione energetica italiana, fortemente dipendente dai combustibili fossili. Si potrebbe dire che siamo stati e siamo prigionieri di questi combustibili. Nel passato l’irresponsabilità politica di chi ci governava ci ha consegnato mani e piedi ai combustibili fossili. Siamo stati buttati nelle mani dei petrolieri senza ritegno, senza un minimo di autocritica  successiva. Di quella che è stata definita prima Repubblica e che è stata spazzata via da uno scandalo di semplici finanziamenti illeciti dei partiti, sembra strano ma il vero scandalo è stato acconsentire l’annullamento del programma di costruzione delle Centrali Termoelettriche a Uranio(CTU) e fermare le centrali a uranio in funzione.. Per dare una idea del problema: in quello scandalo si parlava di poche decine di milioni di euro di tangenti. Per l’affossamento del  nucleare in Italia il danno è stato di decine di miliardi di euro. Diamo un giusto peso alle cose. Questo è stato il vero scandalo, altro che “tangentopoli” che è “piccolo”scandalo.
 Ma parliamo di queste risorse uranifere perché, acquisita l’elevata sicurezza delle centrali di terza generazione, l’obiezione più comune è che anche l’uranio è non rinnovabile e quindi destinato a finire anch’esso. Questo non è propriamente vero. Meglio dire che è vero in parte.
 Innanzitutto ricordiamo che l’uranio in natura è per lo più uranio 238 con un 0,7% di uranio 235 che è quello fissile, cioè quello che fissionandosi, dopo aver assorbito un neutrone, libera energia termica.  L’ uranio 235 al 3-7% nell’uranio complessivo, dopo arricchimento, è destinato all'utilizzo come combustibile delle centrali nucleari a fissione.
 Ebbene esaminiamo il fabbisogno mondiale di uranio nel 2006(fonte IAEA- Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica- 2007). Il fabbisogno totale è stato di 66.529 tonnellate. Le risorse minerarie esistenti sono a 14,4 milioni di tonnellate(Mt). Poi si hanno, dai negoziati di disarmo, altri 1.842 t di uranio ad alto arricchimento e circa 500 t di plutonio(dati CISAC 2005). Perciò all’attuale tasso di utilizzazione solo per le risorse minerarie ne abbiamo per 70 anni. Per risorse minerarie e altre risorse esistenti(MOX), che sono ossidi misti di uranio e plutonio si può arrivare a 360 anni. Queste considerazioni dovrebbero tranquillizzare chi allarma la gente parlando di proliferazione a scopo bellico. In realtà si sta verificando il fenomeno opposto e cioè quello di utilizzare il plutonio prodotto per motivi bellici come combustibile nei reattori nucleari. Infine bisogna ricordare che usando le risorse minerarie nei reattori veloci  questo “combustibile” diventa quasi “rinnovabile” e il tempo di durata arriva a superare i 4.000 anni. Quindi energia nucleare subito, perché pulisce l’ambiente e ne abbiamo, con i reattori veloci di quarta generazione, per migliaia di anni. L’umanità potrà così respirare un po’, in termini energetici intendo.Allungheremo i limiti del pianeta, perché questo pianeta, lavorando in ambito non rinnovabile, arriverà ai suoi limiti energetici in pochi decenni. Il Club di Roma ha solo evidenziato questo. I movimenti ecologisti ne devono prendere atto e regolarsi di conseguenza.
 Due parole sui reattori veloci ricordando che nei miei scritti cerco sempre di parlare a gente comune che vogliono capire.   Cosa sono i reattori detti veloci?
Si tratta di reattori privi di moderatore e che sfruttano neutroni veloci(> 100 kev). La caratteristica principale consiste nell'auto-sostentamento con produzione da parte dei reattori di materiale fissile (plutonio) in quantità maggiore a quella consumata. Vengono detti reattori Fbr (Fast Breeder Reactors). In questi reattori il flusso di neutroni veloci, prodotto dalle reazioni nucleari del nucleo di plutonio, viene assorbito da uno strato di uranio 238 che si trasforma in plutonio. Questo viene poi riprocessato e rimesso nel nucleo del reattore. In questo modo il Fbr trasforma l'uranio 238 in un combustibile nucleare  fissile. Le modalità.
L'uranio ha due isotopi principali, il 235 ed il 238.  Se l' uranio 235, per esempio in una pila atomica, viene colpito da un neutrone, si spacca ed emette altri neutroni, che  possono  iniziare una "reazione a catena".  Se invece il neutrone si "pianta" dentro un nucleo di uranio 238, non lo rompe, ma viene catturato.  L'uranio diventa U 239, poi Nettunio 239 con un’emissione beta, poi plutonio 239 dopo altra emissione beta. Il peso atomico resta 239, mentre il numero atomico passa da 92 a 94. Abbiamo a disposizione un altro nucleo fissile. Esiste un tempo di raddoppio, cioè quanti anni di funzionamento del reattore sono necessari perché la quantità di nuovo combustibile fissile prodotto sia doppia rispetto a quello bruciato nello stesso tempo: di solito sono 15-20 anni di funzionamento. In questo caso la ricerca è indirizzata ai nuovi combustibili avanzati allo scopo di diminuire proprio i tempi di raddoppio. A questo punto il combustibile esaurito viene processato, cioè si separa il Plutonio prodotto dai residui di fissione e si riesce, così,  ad alimentare un nuovo reattore. E’ un processo meraviglioso che utilizzato per scopi pacifici, ci darà energia per migliaia di anni anche dopo che si sarà perduto il ricordo dei combustibili fossili, ma bisogna stare dentro il nucleare di terza generazione se si vuole arrivare alla quarta.
Bisogna tornare, quindi, rapidamente all’uso del “fuoco di Fermi”(la fissione dell’uranio).  Riprendere il posto che ci spetta fra le Nazioni più progredite. Riempire lo spaventoso vuoto che si è formato  ricreando una   classe di nuovi tecnici esperti nel campo nucleare e nella fisica sanitaria, ma soprattutto dare all’Italia un futuro energetico, che adesso non c’è.
*Responsabile Settore Energia Fare Ambiente                                                                                         Docente di “Centrali Termoelettriche” all' Università della Calabria
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