L’energia rinnovabile come motore per lo sviluppo economico
L’ ambientalismo di maniera ha fatto perno in questi anni sul credo che la difesa e la valorizzazione del territorio è inconciliabile, se non in contrasto, con lo sviluppo economico ed infrastrutturale, con la modernizzazione dei luoghi.
Fortunatamente le cose non stanno cosi. L’ambientalismo richiede risposte diversificate e intelligenti rispondenti alle specificità del contesto.
Per intenderci: nessuno pensa di realizzare opere infrastrutturali all’interno della valle dei templi d’Agrigento ma nello stesso tempo non si capisce il significato di una legislazione che, dichiarando area parco circa il 20% del territorio nazionale, blocca qualunque iniziativa di sviluppo in quei territori.
Un impostazione del genere comporta la condanna per il paese all’immobilismo ed all’arretratezza.
Lo sforzo deve essere invece rivolto invece a coniugare la salvaguardia reale del territorio con il suo sviluppo economico e sociale.
Facciamo qualche esempio partendo dalla potenzialità dei progetti afferenti il campo delle energie rinnovabili.
Questi progetti, se ben impostati possono trasformarsi in un eccezionale volano per lo sviluppo economico dei territori rendendo disponibile agli amministratori (meglio se consorziati) redditività importanti da reinvestire ed occupazione duratura per molte persone.
Il compito delle Amministrazioni è quello di reinvestire correttamente tali introiti non facendoli assorbire totalmente dalle spese correnti ma destinandone una parte significativa, alla creazione di circuiti economici virtuosi.
Comunità che si trovano in aree particolarmente vocate all’Eolico, Fotovoltaico, biomasse etc…, possono realizzare Progetti estremamente importanti e produttivi tali da rendere disponibili alle amministrazioni (meglio se consorziate) risorse cospicue da reinvestire. Spesso poi la natura ha fatto sì che i siti meglio predisposti all’utilizzo di questi elementi siano quelli che per tante ragioni sono più svantaggiati nella scala dello sviluppo economico del paese.
Le aree a maggiore vocazione eolica sono nel sud dell’Italia come pure le ore di sole delle regioni meridionali sono circa 40% in più rispetto a quelle delle regioni settentrionali. Sono risorse da impiegare.
Facciamo un esempio. Un Progetto di Parco Eolico ben studiato, condiviso fra le Amministrazioni locali ed un partner tecnologico forte ed affidabile, sfruttando semplicemente gli incentivi già previsti dalle attuali normative, consentirebbe a tante Amministrazioni locali svantaggiate, di disporre di redditi di sicuro interesse.
Certo le cose non sono semplici come appaiano. Le Amministrazioni devono essere all’altezza del compito.
Devono guardare a questi Progetti per realizzare il vero sviluppo economico e non per avere qualche fondo in più per l’ordinaria amministrazione.
L’errore che le Amministrazioni potrebbero compiere in questo caso è quello di gestire, considerate le reali ristrettezze in cui si dibattono, queste entrate come reddito ordinario. Sarebbe un grave errore anche perchè il valore assolutamente interessante di queste entrate consentirebbe di dare ossigeno all’ordinaria amministrazione e contemporaneamente destinarne parte alla Progettazione del futuro.
A questo scopo si potrebbe pensare di destinare una parte degli introiti per finanziare l’elaborazione del Piano di Sviluppo Strategico del territorio. Tale piano costituisce l’occasione d’indagine per l’individuazione delle vocazioni e delle potenzialità del Territorio al fine d’elaborare le linee strategiche per lo sviluppo, nella condivisione degli obiettivi e delle metodologie con il tessuto pubblico e privato offrendo maggiori garanzie sulla credibilità degli obiettivi prefissati.
Gli amministratori si troverebbero (finanziato da un progetto che utilizza energie rinnovabili) uno strumento con il quale fare vero e reale sviluppo economico sfruttando in modo scientifico le migliori potenzialità del territorio. Non solo. Il Piano di Sviluppo Strategico consentirebbe l’accesso ai fondi strutturali programmati fra il 2007-2013.
In sintesi da un Progetto che fa leva su energie pulite e rinnovabili si può innescare un processo che oltre ad aiutare gli amministratori sull’ordinario consentirebbe di innescare, a costo zero, processi di reale sviluppo economico per i territori con benefici a cascata sulle popolazioni.
A chiudere il cerchio poi alla fine dell’esercizio del Parco Eolico si potrebbe decidere di proseguire l’esperienza con un refresh tecnologico oppure, avendolo previsto fin dall’elaborazione del progetto, rimuovere il Parco e ripristinare l’ambiente originario.
Ecco, questo ci sembra un modo intelligente di coniugare l’ambientalismo, lo sviluppo economico, le esigenze degli amministratori e delle popolazioni.
Quanto qui esposto vuole essere un timido approccio allo sviluppo economico sostenibile che nel corso delle settimane tenderà a consolidarsi in progetti cantierabili aprendo delle finestre su un futuro accettabile dai più. Dato che il nostro obiettivo, in primis, è quello di allargare la base del consenso questo non può che avvenire attraverso un nuovo linguaggio, una nuova visione condivisa, nuove conoscenze ed il trasferimento di pratiche di successo adottate in altri paesi. Se è vero che abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio è anche vero che per assimilarlo abbiamo bisogno di una maggiore consapevolezza e di una visione multidisciplinare del contesto in cui operare. La sfida non è delle più facili ma siamo altrettanto convinti che non è impossibile se riusciamo ad allargare la base della comprensione e del coinvolgimento. Il nostro intento è quello di tracciare una via per lo sviluppo economico attraverso una forte dose di fiducia, la costruzione di un capitale sociale e della dignità.
Con tecnica puzzle vogliamo affrontare uno stimolante dibattito sulle tematiche di sviluppo economico, in armonia con l’impegno civile che ci contraddistingue, per far fronte alla dilagante schizofrenia culturale che mina le basi democratiche di convivenza civile. Nell’attuale fase storica dettata dall’incertezza e dalla instabilità sociale latente, ognuno di noi si deve sentire chiamato a dare un contributo concreto in termini di policy (azione) e di policy makers (costruttori d’azione) per agevolare le scelte di cui si nutre la politica, sintesi dei bisogni collettivi. Non idee per l’azione di parte ma idee per la costruzione di azioni da condividere perché questo è il metodo che agevola le scelte in termini di tornado politics e non di abortion politics e perché lo sviluppo è parte di una interazione collettiva da cui emergono le meso-strutture socio-economiche. In un’epoca dominata dalle disinformazioni, da incoerenza culturale, dalla carenza di attenzione, dalla facile ricerca della somiglianza e non delle differenze proponiamo un cambio di paradigma per perseguire la via alta della competitività tra coesione sociale e sviluppo economico esponendo tesi, argomentazioni e modalità per coniugare cultura e sviluppo. Per perseguire questa via alta affermiamo l’esigenza di un nuovo linguaggio, una nuova linguistica, nuovi strumenti di analisi, nuove intelaiature concettuali ed una grande narrazione consistente e condivisibile. Lo sviluppo richiede anche una leadership che va ricercata in quei modelli di umiltà che dischiudendo l’accesso al sommo bene consentono di esercitare un’influenza benefica contrapponendosi di fatto a quei modelli di leadership che proiettano all’esterno energie caotiche di interiorità che danno sfogo a potere distruttivo.
A nostro modesto avviso sarà alquanto difficile attivare un processo di sviluppo economico se non si affronta in modo serio e rigoroso un processo di dittazione culturale. Non possiamo più pianificare un processo di sviluppo economico possiamo solo costruire un brodo primordiale per lo sviluppo da cui dovranno emergere configurazioni economiche dinamiche (vita economica) e non configurazioni economiche congelate (statiche). Per fare questo, come abbiamo accennato all’inizio, abbiamo bisogno di nuovi paradigmi e nuovi linguaggi e padroneggiare la fisica, la biologia, la matematica, l’economia e la filosofia come pure non dovranno avere segreti tematiche e strumenti come la teoria delle catastrofi, il caos, la complessità, l’ubiquità dello stato critico, la legge di rottura, la teoria dei rendimenti crescenti, il capitalismo informazionale e relazionale, l’economia della creatività [nota anche come economia delle 3T (talento, tecnologia, tolleranza)] e l’economia dello sviluppo locale. Allora sì che quando vediamo un porto, come quello di Gioia Tauro, non lo individuiamo più come una configurazione congelata (transhipment) avulsa dal contesto socio-economico-locale-culturale bensì come un cluster della logistica motore di un distretto high tech sul modello del cluster logistico di Rotterdam. Solo così riusciamo a vedere i possibili sviluppi del cluster ed uscire dall’artigianalità produttiva e culturale.
Nel nostro modello di sviluppo, abbiamo constatato che la criticità è costituita dalla mancanza di leadership. Questa nota non può che concludersi con un incitamento verso quella leadership che ci sprona ad uscire dall’artigianalità quotidiana, per tentare la via alta del pensiero strategico e trovare e ricostruire incessantemente connessioni sociali prima, e connessioni tra scienze pure e cultura poi; la leadership che ci ricorda Antoine de Saint Exupèry, il quale diceva “una pozzanghera associata alla luna rivela delle connessioni nascoste”; la leadership che ci richiama ad immergerci nel pensiero critico e nella passione delle sfide, per non accrescere la solitudine; la leadership che ci richiama costantemente all’entusiasmo e ci consiglia ad accettare la tensione e le sfide, perché la tensione è sinonimo di creatività; la leadership che ci invoglia al grande progetto dello sviluppo, nella consapevolezza dei nostri limiti; la leadership che ci esorta al ritorno al gioco, quando l’entusiasmo si trasforma in fallimento; la leadership che fa continuamente apprezzamento al valore della dignità, alla quale sono indirizzati i suoi sforzi. Quando la gente non partecipa o non si espone, non sempre lo fa per timore, per egoismo o per incapacità; nella maggior parte dei casi lo fa per dignità, e pensiamo che questo sia il più alto valore, che merita rispetto e risposte. È a questa dignità che ci dobbiamo rivolgere ed è su questa dignità che dobbiamo far leva per far uscire dalla cappa dell’indifferenza gli esclusi dal dialogo. È importante al riguardo segnalare un altro aspetto della dignità evidenziando che gli uomini, comunque, cercano non solo il confort fisico, ma anche quello psicologico. Questo benessere psicologico si presenta come dignità o come riconoscimento del proprio valore - quello che Aristotele chiamava thymòs. Anche quando il progresso scientifico porta ad una maggior ricchezza e a un maggior comfort, l’uomo continua a lottare per il riconoscimento e la dignità. Questo impulso al thymòs secondo Fukuyama, è la causa principale della scia di sangue che accompagna la storia. Gli uomini hanno lottato per secoli contro le rigide gerarchie sociali che negavano loro dignità e autonomia. Nei successivi articoli tenteremo con una maggiore linearità di mettere ordine al caos imperante e restituire fiducia per un futuro in cui ci possiamo riconoscere nel linguaggio e nell’azione.
San Fili, 26.05.2008
Il Coordinatore Regione Calabria
Avv. Antonio Iaconetti
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